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RELATIVITA’ di Marco Tullio Dentale
Ero in
attesa del mio turno dal pranoterapeuta. Si, avete letto bene, pranoterapeuta.
Uno di quelli che per guarirti ti impongono le proprie mani. Quando dico che
per alcuni problemi mi rivolgo a queste persone, in risposta c’è sempre qualche
scettica risatina. Certo, se avessi detto che ero in attesa da un dentista o da
un oculista sarebbe stato tutto più scontato ed accettato. Ma io, invece, ero proprio
in attesa da un pranoterapeuta. Bene, quando mi trovo in situazioni in cui c’è
da attendere, apettare, pazientare, insomma nei cosiddetti momenti “morti”, ne
approfitto per appuntare delle idee “vive” su uno dei miei taccuini, che, senza
condizioni, mi seguono giorno e notte, in tutti i miei spostamenti. Mentre con
molta attenzione osservavo sul foglietto del momento la trasformazione di un ipotetico
tempo funebre in qualcosa di caratterialmente lapidario ma costantemente imprevedibile,
fui distratto da un rumore improvviso che proveniva da una finestra posta nella
parete alla mia sinistra. Un rumore simile ad un sommesso batter d’ali di un uccello
o come di un grosso insetto che sfrega e gratta ripetutamente contro qualcosa o
come una frase, espressa in velocità e sottovoce, quasi un frammentario brusio
cinematografico. Ero solo nella stanza, e guardai verso la finestra molto incuriosito
e perplesso, ma il rumore cessò prima che io potessi comprenderne l’origine. Notai,
solo in quel momento, che sul muro, intorno a quella finestra, erano attaccate molte
foto, disegni, scritte, ritagli di giornali, dai contenuti più disparati. Uno
di questi fogli, riproduceva la celebre foto di Albert Einstein che mostra la propria
lingua come farebbe un bambino dispettoso. Il foglio stava vicinissimo alla
finestra, che era leggermente dischiusa. Proprio in quel momento uno spiffero
d’aria entrò dalla fessura. Si infilò sotto la faccia sorridente del celebre
scienziato, che iniziò a muoversi, provocando lo strano rumore che poco prima
aveva attratto la mia attenzione. Bè, aveva proprio ragione lui, “tutto è relativo!”.
Sorrisi anch’io, e nella fissità di quella parete, Albert, quel pomeriggio,
riuscì a muoversi e persino a farsi sentire da me per ben due volte, e la
seconda, guardandomi dritto negli occhi.
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